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1. Gian Luigi Prato 10.04.1997

Bibbia > 5° Corso biblico: Messianismo. Liberazione o alienazione? (1997)



trascrizione integrale

II contributo della Bibbia all'idea messianica ebraico-cristiana



SOMMARIO

I. II messianismo come realtà culturale odierna, nelle sue molteplici espressioni.
Tre esempi: a) il messia monetario (Maastricht), b) il New Age, c) l'autocoscienza messianica delle istituzioni.

II. Il messianismo alla ricerca di definizione, ma percepito come attesa di un momento decisivo e liberatore, con giustificazione religiosa o pseudo-religiosa, prevalentemente biblica.

III. Fin dove il messianismo può dirsi biblico?
I rapporti tra Bibbia e una cultura a base biblica sono analoghi a quelli che collegano la Bibbia alla tecnologia e a un magistero e perciò rendono il testo biblico punto di riferimento normativo.

IV. La concezione comune del messianismo si compone di due fattori fondamentali:
- l'idea di una escatologia collettiva, pensata come società ideale e spesso teocratica
- una figura mediatrice, la cui funzione messianica realizza tale escatologia

V. Essi corrispondono a due analoghi fattori impliciti negli scritti biblici:
- l'autorità della storia, che per volere divino si attualizza nel presente o nel futuro
- la tendenza a trasferire su una persona particolare concezioni salvifiche più vaste. Si veda il modo con cui nel Nuovo Testamento si costruisce un messianismo di Gesù

VI. Dal lato storico, almeno fino al 70 d.C., il messianismo è un fenomeno ridotto e si presenta per molti aspetti come un messianismo senza messia.

VII. All'epoca del Nuovo Testamento la concezione messianica del giudaismo è ancora in via di elaborazione e il movimento divenuto cristiano contribuisce a formarla; non si può pertanto contrapporre per esempio un messianismo spirituale del Nuovo Testamento a un messianismo politico del giudaismo.

VIII. II messianismo è biblico nel senso che si può riscontrare anche nella Bibbia, e in particolare nel Nuovo Testamento, un tentativo di rileggere in senso messianico tradizioni che risalgono al patrimonio religioso dell'antico Israele.

IX. II messianismo come fenomeno culturale a base biblica va chiarito analogamente come tentativo di leggere una storia, partendo da propri presupposti interpretativi.

X. II corso intende ripercorrere l'evoluzione storica di questa concezione culturale del messianismo, per evidenziare in particolare i modi con cui quest'ultimo può essere manipolato da un qualsiasi potere, soprattutto di ordine religioso, qualora si ritenga suo depositario e interprete esclusivo.


Con il presente intervento dovremmo introdurre questo corso biblico, presentare sinteticamente la concezione che abbiamo del messianismo e soprattutto dire in che modo e fino a che punto questa concezione è biblica.
Il corso, in quanto "biblico", intende essere un ritorno alla Bibbia, ma vorrebbe anche mostrare di fatto quale è il modo con cui ci accostiamo solitamente alla Bibbia, nel senso che non interroghiamo il testo per apprendere quello che ci vuol dire, ma cerchiamo in esso delle conferme a quanto già riteniamo che dica.

La Bibbia, in quanto testo sacro e canonico, funziona in tal senso non solo all'interno di una specifica tradizione religiosa, quanto su un piano culturale più vasto, per cui diventa normativa anche per alcune prospettive di ordine più generale che sono legate a tale tradizione religiosa. Sono appunto queste prospettive culturali ciò di cui vorremmo cercare un fondamento negli scritti biblici.
Il tema del messianismo si presta molto bene a questo scopo. Possiamo dunque cercare di descriverlo sommariamente e vedere poi fino a che punto può essere ritenuto biblico, ossia fin dove può trovare un suo appoggio nei testi che costituiscono la base normativa della nostra tradizione religiosa e culturale.



Tentiamo di affrontare l'argomento seguendo un itinerario espositivo che può suddividersi in dieci punti.

I. II messianismo come realtà culturale odierna, nelle sue molteplici espressioni

II messianismo è in primo luogo una nostra eredità culturale, prima di essere una concezione biblica; è una realtà culturale talmente insita in tutto ciò che pensiamo o che realizziamo che quasi neppure ce ne rendiamo conto.
Per illustrare questa affermazione può essere opportuno ricorrere a tre esempi presi da campi diversi: il primo da quello politico-economico, il secondo da quello propriamente religioso e il terzo da quello psico-sociale.

Primo esempio
Riguarda il campo politico-economico e lo prendiamo da quanto dice il giornalista Enzo Bettiza su
La Stampa di domenica 2 febbraio 1997, in un articolo intitolato La grazia del Messia monetario:

«Da quando Maastricht è diventato per alcuni Paesi dell'Unione europea un appuntamento quasi certo e per alcuni alquanto incerto, per altri desiderabile e per altri indesiderabile o addirittura detestabile, le oscillazioni fra si, no e “ni” hanno via via assunto un profilo sempre più trascendentale. L'appuntamento che era economico in prima battuta e politico in seconda, s'è trasformato infine in una sorta di ansiosa attesa metafisica. Maastricht è diventato il surrogato di un Messia profano, il Messia monetario d'Europa. Di volta in volta, a seconda dei casi e delle circostanze, l'attesa del suo arrivo in Terra ha suscitato sentimenti, emozioni e perfino passioni contrastanti. Adorato e temuto in Germania, idolatrato con molte riserve mentali in Francia, abiurato con nettezza in Inghilterra, agognato e paventato in Italia e in Spagna, l'Euro metafisico, ancor prima della sua calata dal cielo prevista per il 1° gennaio 1999, ha acceso e sta accendendo logomachie degne di un gran concilio teologico più che di una discussione finanziaria tra politici esperti degli Stati membri dell'Unione. Quale Paese o gruppo di Paesi riceverà per primo la grazia dell'Euro? Quale paese dannato ne resterà escluso? La condanna o esclusione sarà eterna o temporanea, sarà inferno o purgatorio lenitivo, privo di asperità punitive, dopo di che l'escluso potrà raggiungere alfine il paradiso della serenità monetaria dominata dal Marco onnipotente?»

Il linguaggio con cui si esprime l'autore è di ordine teologico. È l'attesa di un messia monetario, presentata come se i responsabili dell'Europa
in fieri fossero dei padri conciliari o dei teologi che sono chiamati a definire una questione attinente al patrimonio dottrinale alla loro religione.


Secondo esempio
Si colloca nell'ambito della religione e riguarda il fenomeno della New Age. La New Age è una specie di religione trasversale di origine americana che si è andata affermando nella seconda metà del Novecento. Essa prospetta un avvenire privo di specifiche tradizioni religiose, di Chiese, di confessioni, nel quale dovrà affermarsi una religiosità universale che dovrebbe essere la sintesi e il superamento di tutte le religioni storiche. È un fenomeno che si affida molto all'ispirazione individuale e allo spontaneismo e che intende abolire tutte le confessioni religiose nel momento in cui le rivaluta.
La New Age si realizzerà quando entreremo nella costellazione dell'Acquario, dove però secondo alcuni siamo già entrati. Ancora su
La Stampa di lunedì 3 febbraio 1997 Bruno Ventavoli presenta questo movimento con una descrizione che lo avvicina molto alle aspettative messianiche tradizionali.

«New Age significa letteralmente Nuova Era. Secondo gli astri, stiamo per lasciare la costellazione dei Pesci ed entrare in quella dell'Acquario (The Age of Acquarius cantavano in Hair). E ci rimarremo per i prossimi 2160 anni. Secondo chi se ne intende, le cose dovrebbero migliorare assai. Nell'ultimo bimillennio ne sono successe di tutti i colori: guerre, massacri, catastrofi, inquinamento. Leader sanguinari, da Carlo Magno a Napoleone e Hitler. La nuova age dovrebbe invece portarci (non subito perché i pesci sono numerosi e daranno ancora filo da torcere) una verità non più stabilita da leggi, da gruppi di persone, da grumi di dogmi. Niente più partiti, niente più Stati, niente più Chiese. Bensì individui liberi di scegliere, di cercare l'armonia con il mondo e con i propri simili, attingendo a una ricca libertà interiore. L'ora X del trasloco zodiacale, annunciata da particolari congiunzioni astrali, è attesa da parecchio. Secondo alcuni (tra cui Jung) dovremmo già aver varcato la soglia. Altri hanno festeggiato nel '62, poco dopo la mezzanotte del cinque febbraio».

Anche se in questo articolo non torna la parola messia o l'aggettivo messianico, in realtà la prospettiva è esattamente messianica secondo il sentire comune.


Terzo esempio
Riguarda, come dicevamo, l'ambito psico-sociale. Il Prof. Rosario Merendino, psicanalista e biblista, descrive in termini molto significativi l'angoscia che oggi ci attanaglia quando siamo afferrati dalla paura, che in termini psicoanalitici significa allontanamento dalla madre e recupero della protezione materna sotto altre forme [Parola, spirito e vita. Quaderni di lettura biblica (La paura), 1996/1, 292 s.].

«Se teniamo conto di quanto finora abbiamo detto, ci sarà più facile comprendere perché noi oggi nella situazione specifica del mondo odierno, siamo angosciati. Per maggiore chiarezza supponiamo di essere i neonati dalla madre che si definisce come società, stato, unione europea, Stati Uniti d'America, Chiesa cattolica, Chiesa ortodossa, Chiesa evangelica, comunità sciita, sunnita. islamica, esercito, fabbrica, sindacato, istituzione professionale, famiglia, parentela, vicinato e altro. Chiamiamo madre semplicemente il mondo umano da cui siamo nati e in cui noi oggi siamo immersi e di cui siamo parte. Possiamo affidarci a questo mondo e alle sue strutture? Possiamo chiedere e attenderci da esso appartenenza e riconoscimento? Le istituzioni sopra menzionate si caratterizzano, come da sempre, ogni istituzione, per una forte autocoscienza messianica: esse si ritengono, sulla base di motivazioni le più varie, destinate a dare significato, aiuto e salvezza ai propri membri, sia come singoli che come gruppo, e vivono questo loro compito come missione, in misura più o meno consapevole e intensa, totale, che non ammette eccezione. Essi ritengono pertanto i loro membri come loro inalienabile proprietà: l'appartenenza non è, in questa ottica, un dono ma un diritto cui è vietato sottrarsi».

Secondo questa descrizione, le istituzioni stesse che caratterizzano il nostro mondo sociale, cui apparteniamo quasi per nascita, assumono una funzione che può dirsi messianica.


Si tratta di tre esempi che sono presi dal vivere quotidiano, e che ci mostrano come il messianismo sia un fenomeno ben più vasto delle sue semplici o presunte radici bibliche. È un fenomeno che non solo investe la nostra cultura in quanto mèmbri di una tradizione religiosa, ebraica o cristiana, ma ci riguarda in quanto appartenenti a questo mondo, e non solo a quello Occidentale, come ci dice la New Age.



II. Il messianismo alla ricerca di definizione, ma percepito come attesa di un momento decisivo e liberatore

Se però volessimo cercare una definizione più precisa del messianismo, ci troveremmo in difficoltà, perché in realtà non esiste una definizione di questo fenomeno che sia del tutto soddisfacente. Esso è caratterizzato infatti da una specie di proiezione verso un futuro, come una molla repressa che tende a scattare in avanti. È l'attesa di una liberazione finale e definitiva, che si giustifica in base alla cultura religiosa cui apparteniamo, e poiché siamo in qualche modo eredi di una tradizione biblica, siamo portati spontaneamente a fondare tale aspettativa sulla Bibbia stessa. In questo senso, riteniamo che il messianismo sia un fenomeno biblico.
La Bibbia funziona perciò come supporto giustificativo di un nostro modo di vedere e di pensare che si proietta in avanti. Tutti i desideri di liberazione, di espansione, e soprattutto di modifica radicale e definitiva della situazione presente, vengono coinvolti in quello che noi riteniamo sia il messianismo, per cui quest'ultimo è condannato a rimanere nel vago. Certo, potremmo sempre elaborare una qualsiasi definizione accademica del messianismo, ma essa sarebbe sempre insufficiente ad esprimere in maniera esauriente quella visione più ampia del nostro presente e del nostro futuro, che siamo portati a ritenere messianica.



III. Fin dove il messianismo può dirsi biblico?

Come già abbiamo detto e ripetuto, entro certi limiti il messianismo è un fenomeno di cultura biblica, per il quale la Bibbia figura come un testo ideale di riferimento. Ma proprio per questo suo appoggio lontano ed esterno, di ordine biblico, il messianismo non potrebbe anche essere un'illusione?
L'ipotesi è certo più che giustificata; non si tratta di mettere in discussione la Bibbia come testo sacro, ma è la natura stessa del messianismo che ci impone questa domanda. Infatti, la prospettiva entro cui noi ci poniamo quando parliamo di messianismo è talmente vasta da suscitare qualche dubbio sulla sua possibile attuazione concreta.
La Bibbia, già solo per questo motivo, non è in grado di darci una risposta, anche perché non sarebbe corretto rivolgersi ad essa per cercare, sia pure in germe e in un'ottica evoluzionista, il nucleo fondamentale di questa vaga attesa messianica, nei termini in cui di fatto la avvertiamo e tentiamo di renderla operante. Risulterebbe cioè deludente interrogare la Bibbia in questo senso, riportarsi alla Bibbia come se volessimo trovarvi la fonte di una sensazione così vasta e così varia.

D'altra parte, indipendentemente dalla Bibbia, dobbiamo anche chiederci se sia proprio questo il messianismo storico, cioè quello che si è evoluto nei secoli della nostra storia, e se una tale attesa messianica sia così rilevante. È vero che se ricordiamo la nostra storia, constatiamo che la forza del messianismo e dei movimenti messianici ha sempre avuto una grande risonanza sul piano individuale e collettivo, dalle ideologie agli irredentismi sociali e politici. Ma queste manifestazioni storiche del messianismo coincidono esattamente con quello che noi oggi avvertiamo come vaga attesa messianica di un futuro diverso?
Si tratta cioè di una osmosi che si traduce oggi nei termini tipici del nostro vivere quotidiano oppure si tratta di un fenomeno che nei tempi moderni ha assunto invece una configurazione diversa?

Di fatto, però, indipendentemente dalla risposta precisa che si vorrebbe dare a una tale domanda, anche in questo caso è significativo che si voglia ancora ricorrere alla Bibbia per trovarvi il metro su cui misurare eventuali forme diverse di messianismo, addirittura con l'intento di classificarla secondo criteri di ortodossia che la Bibbia dovrebbe fornire.
La Bibbia, anche in questa prospettiva, funziona sul piano culturale esattamente come sul piano teologico o magisteriale. Come la Bibbia costituisce il punto di partenza di una teologia che specula su di essa e ne elabora eventuali contenuti, e come la Bibbia resta la base di un qualunque magistero autorevole, così essa viene ritenuta il punto di riferimento di una cultura che in questo richiamo alle sue fonti segue lo stesso cammino della teologia e del magistero, con risonanze ancora più vaste.
Quello che si verifica sul piano della teologia o del magistero si verifica prima ancora su un piano culturale, per cui la Bibbia deve necessariamente conservare una sua funzione di guida. Se ciò vale in linea generale, è tanto più evidente nel caso del messianismo.

Su questo punto più specifico, tuttavia, dobbiamo prendere atto di una situazione concreta in cui si trovano gli studi e la ricerca. Mentre infatti del messianismo si può parlare molto in sede di teologia biblica o di studi biblici a carattere sintetico, e anche in sede teologica, gli studi biblici più analitici, che si dedicano a questo argomento, sono sempre più restii ad ammettere che vi sia un messianismo in determinati scritti biblici o negli ambienti da cui essi sono derivati.
Anche lo studio del messianismo neotestamentario porta a concludere che una certa figura, o una determinata tradizione, o uno specifico testo giudaico non sono chiaramente messianici come sembrerebbe a prima vista, o come noi siamo abituati a considerarli abitualmente. Si constata una specie di dissidio tra il messianismo studiato in sede di teologia biblica (o di teologia che si richiama alla Bibbia) e i risultati delle ricerche analitiche condotte all'interno della Bibbia, sul piano del suo testo e del suo sottofondo storico.



IV. La concezione comune del messianismo si compone di due fattori fondamentali

Se consideriamo più da vicino la nostra concezione di messianismo, possiamo grosso modo considerarla formata da due componenti:

1) Una certa idea di escatologia collettiva, cioè di una soluzione futura della storia, ma sempre su un piano collettivo.
Non esiste un messianismo individuale o se esiste è solo per riflesso. Il messianismo si fonda sostanzialmente sull'attesa di un termine ultimo della storia, che in qualche modo cambia la situazione presente, ma la cambia per tutti. Questa escatologia collettiva viene pensata di solito come una società ideale, spesso in termini teocratici, proprio perché, almeno su un piano ipotetico, questa liberazione futura si fonda sulla Bibbia, la quale si esprimerebbe in termini teocratici.
Un simile messianismo, prospettato come escatologia collettiva, non sembra però realizzabile in termini concreti, anche perché quel tipo di società non caratterizza più altri momenti storici. La società in cui oggi viviamo non sembra fondata su una teocrazia, però il messianismo viene sempre visto come elemento legato ad una società ideale, governata da un potere divino. Messianismo ed escatologia diventano quindi sinonimi, come lo sono divenuti messia e capo messianico o capo millenaristico, cioè colui che deve realizzare la trasformazione finale nell'ambito di questa società.

2) La figura personale di chi rappresenta il messianismo o è chiamato a realizzarlo.
Si tratta di una figura intermedia, collegata ad una visione del mondo in cui essa assume una funzione precisa per lo più nell'ambito di una ideologia regale.
Come l’escatologia, in quanto fenomeno collettivo, viene pensata in gran parte in termini teocratici, così la figura che deve dare attuazione concreta al messianismo viene spesso immaginata come una figura regale: un re potente che ha il potere e il compito di cambiare la situazione presente del mondo.
Un messia laico è difficilmente immaginabile, oppure lo può essere se in qualche modo partecipa dei poteri o delle prerogative che sono proprie di una regalità che governa per volere divino; le trasposizioni laiche di questa concezione del potere sono sin troppo facili ed evidenti nelle società e nei regimi che si autodefìniscono laici, in realtà spesso solo per analogia con i regimi sacrali.



V. Essi corrispondono a due analoghi fattori impliciti negli scritti biblici

Se possono essere sufficienti queste due componenti per delineare il messianismo come viene normalmente inteso, possiamo tentare di vedere come e in che senso esse corrispondono a due fattori presenti negli scritti biblici.

1) La prima componente si riallaccia alla concezione biblica di una storia che viene ad assumere una funzione autorevole: il passato in qualche modo detta legge per il presente e per il futuro e anzi può tornare a ripetersi in un futuro più o meno immediato, per realizzare quello che non è stato possibile raggiungere nel passato. La Scrittura in fondo è nata proprio per questo motivo, per ricordare un passato che non va dimenticato e che è attuato o attualizzabile nel presente o nell'avvenire. Il passato autorizza quindi a sperare in un esito finale restauratore.
Questa concezione è fondamentale. È secondario anzi vedere se la Scrittura recepisca una visione della storia che già era in atto nel momento in cui è stata composta o redatta, o se sia la Scrittura stessa, sorta come testo autorevole nell'ambito dell'antica società israelitica, ad aver creato una simile concezione della storia, in funzione della comunità alla quale era destinata. Di fatto è nella Scrittura come tale che si presenta a noi come memoria dell'esperienza storica di un popolo che noi troviamo l'idea di un passato normativo che deve agire anche nel presente e sul futuro.

2) Anche la seconda componente, quella della figura messianica, trova riscontro nella tendenza, che constatiamo per lo meno nella tradizione del testo biblico, a conferire tratti individuali e personali ad una concezione per così dire più astratta, per far capire come essa si attui in concreto.
È tipico della tradizione biblica, quella però che riguarda la trasmissione del testo o le traduzioni antiche del testo ebraico, il voler precisare concezioni più generiche, ed è di qui che può derivare la fisionomia più concreta di un personaggio dai connotati messianici.

Possiamo esemplificare questa tendenza accennando a come il testo ebraico venga inteso nella traduzione greca detta della
Settanta. In Num 24,7 viene riportata la profezia di Balaam, rivolta al gruppo degli Israeliti che sono in viaggio verso la terra promessa.
Nel testo ebraico si fa dire a Balaam, profeta incontrato per caso lungo il cammino:
«Fluirà l'acqua dalle sue [= di Giacobbe/Israele] secchie e il suo seme come acqua copiosa», mentre la traduzione greca afferma: «Uscirà un uomo dal suo seme e governerà molti popoli».
Questo uomo sembra inserito nel testo ebraico dal traduttore greco proprio per dare un volto più concreto a ciò che viene detto del seme in termini troppo generici. Si trasferisce su una persona quella che è la proprietà di una intera discendenza o di un gruppo più vasto.

Un'altra immagine che viene interpretata in maniera particolare è quella del germoglio di cui parlano tre testi (
Ger 23,5; Zac 3,8; 6,12). Questo termine viene tradotto in greco con il termine Aurora (anatole). Forse qui la individuazione è meno evidente, però il concetto di Aurora intende precisare su un piano più concreto, che suscita speranza nel futuro, un'immagine che nel testo ebraico è più generica.
È proprio il termine "Aurora" che compare nel Nuovo Testamento, quando il sacerdote Zaccaria, nel celebrare la nascita del figlio Giovanni, afferma che
«verrà a visitarci un'Aurora dall'alto» (così dice alla lettera il testo di Luca 1,78, reso nella versione della CEI con «un sole che sorge»).

Del resto il Nuovo Testamento si colloca anch'esso su questa linea, nel suo tentativo di delineare un messianismo di Gesù in base a diversi elementi desunti dalla tradizione precedente.
Gesù viene inteso come Cristo ponendo insieme concezioni o figure che nell'Antico Testamento e nel giudaismo coevo sono più generiche o non si riferiscono ancora ad una persona precisa.
Abbiamo il
figlio di Davide, un titolo che Gesù non usa mai per se stesso, ma che viene applicato a lui in una prospettiva particolare.
Vi è poi l'immagine del servo sofferente e quella del giusto perseguitato ingiustamente e rivendicato, la quale viene applicata a Gesù dagli scritti del Nuovo Testamento.
Viene utilizzata anche la figura del profeta escatologico, di cui parla il profeta Malachia (3,23), identificandolo con Elia: Gesù in qualche modo viene ritenuto Elia redivivo, un profeta che ritorna; questa concezione risale al libro del Deuteronomio, dove Mosè dice che dovrà venire un profeta dopo di lui (18, 15-18), e Mosè stesso viene considerato profeta nella tradizione biblica (cfr.
Os 12,14).
Vi è infine la concezione del "Figlio dell'Uomo", un'idea che viene interpretata in ambiente giudaico in senso messianico, ma in maniera molto limitata. Si tratta dunque di elementi distinti, che di per sé non sono tipicamente messianici, ma che riuniti insieme dovrebbero servire a configurare un'immagine di Gesù in modo da intenderla comprensibile nell'ambito di una concezione del messianismo che si sta formando in quel momento.



VI. Il messianismo è un fenomeno ridotto

Infatti è ben difficile dal lato storico poter parlare di messianismo in ambiente giudaico prima del 70 d.C., prima cioè della distruzione di Gerusalemme, ma anche dopo e in pratica fino alla seconda guerra giudaica (132-135 d.C.). Quindi anche nell'ambito del giudaismo di quel tempo il messianismo è un fenomeno molto ridimensionato, che tutt'al più si fa strada con la disillusione provocata dal fallimento della dinastia degli Asmonei, che aveva suscitato speranze di una restaurazione nazionale ebraica quando i Maccabei erano riusciti ad ottenere una certa indipendenza politica ed a realizzare anche conquiste territoriali. La dinastia degli Asmonei fu soppressa dai Romani e qualcuno colloca proprio in questo momento di crisi il primo sorgere di una prospettiva che, ulteriormente elaborata, diventerà nel giudaismo farisaico posteriore al 70 quello che potrà considerarsi un messianismo.
Questa ideologia, allora molto ridotta, si va affermando in antitesi ad un paganesimo che essa stessa contribuisce a definire. La distinzione tra un Israele inteso come ambiente o popolo privilegiato e un mondo più vasto, che ne resta al di fuori, si accentuerebbe in questo momento. Anche questa antitesi contribuisce a suo modo a formulare quella, che poi diventerà una concezione messianica della storia. Parallelamente, per tornare alla nostra seconda componente, si assiste alla idealizzazione di una figura particolare che può essere quella dell'unto si tratta di un personaggio che viene unto (incaricato) per un compito particolare e questa immagine dell'unzione passerà poi a caratterizzare il messianismo, tant'è vero che darà il nome al messianismo stesso (messianismo infatti deriva dal verbo ebraico che significa
ungere).

Prima di questo momento storico non si parla di messianismo se non in termini molto vaghi. Anzi, in rapporto a una figura particolare, che non è ancora ben definita, si può parlare di un messianismo senza messia.
Il fenomeno del messianismo può essere solo individuato per analogia con il compito attribuito a delle realtà mediatrici che si collocano tra Dio e il mondo. Una di queste è per esempio la Sapienza, che gradualmente viene ad assumere un ruolo particolare e salvifico tra Dio e l'uomo, ma che non è messianica. Se il messianismo non è evidente o se comunque è presente in maniera così ridotta, ciò dipende dal fatto che anche la concezione escatologica non è rilevante.

È solo con il rabbinismo, quello che si forma soprattutto dopo il 70, che si formula una concezione più chiara del messianismo, quella che resterà viva nella storia successiva. Proprio per questo motivo il messianismo non è biblico nella sua configurazione più nota.



VII. Non si può contrapporre un messianismo spirituale del N T a un messianismo politico del giudaismo

Bisogna dunque evitare di contrapporre un messianismo spirituale, identificato di solito con quello del Nuovo Testamento, a un messianismo politico che sarebbe tipico del mondo giudaico, perché all'epoca del Nuovo Testamento la concezione del messianismo era solo in via di formazione e a formarla contribuiscono l'evoluzione sia del giudaismo sia delle interpretazioni della figura di Gesù, dovute a quella corrente interna al giudaismo che noi chiamiamo neotestamentaria e che diventa poi cristiana.
Non si può dire quindi che il Nuovo Testamento ci presenti una figura di Gesù messia diversa da quella del tempo, perché tale figura si stava formando anche con il contributo dell'interpretazione di Gesù come messia. La situazione storica da cui è scaturita la concezione del messianismo è dunque più complessa e non va giudicata con le categorie posteriori, che allora non erano ancora chiare e non funzionavano alla maniera con cui sono divenute operanti in seguito.



VIII. Tentativo di rileggere in senso messianico tradizioni dell'antico Israele

Si può quindi parlare di un messianismo biblico solo se, a livello del Nuovo Testamento, si percepisce un tentativo, non unitario, di leggere tradizioni che a loro volta intendono risalire per vie diverse al patrimonio religioso dell'antico Israele.
Il messianismo biblico, a livello neotestamentario, è quindi solo un tentativo di interpretazione di un patrimonio religioso dell'antico Israele, che è confluito, a parità di merito, sia negli scritti divenuti sacri e canonici, che noi chiamiamo Antico Testamento, sia in tutti gli altri scritti giudaici messi da parte e che noi chiamiamo apocrifi, ma che dal punto di vista storico, per la formazione di questa concezione, sono altrettanto importanti e degni di attenzione da parte degli studiosi. Da tutta questa letteratura, e da uno sforzo interpretativo che è comune al giudaismo di questo periodo, emerge un tentativo di elaborare una visione della storia che si concretizzerà in un messianismo e in un suo rappresentante individuale, anche se non necessario: la figura di un messia.



IX Tentativo di leggere una storia, partendo da propri presupposti interpretativi

Pertanto il messianismo va chiarito anzitutto entro i suoi stessi termini, come particolare visione della storia, come tentativo di interpretare la storia in analogia con quanto ha fatto la tradizione che è confluita negli scritti biblici. In questo senso è possibile allora studiare e capire il messianismo; si tratta dunque di imitare, a nostro modo e con i nostri presupposti, il tentativo che gli scritti biblici hanno compiuto per contribuire a definire una certa visione del messianismo.
Proprio perché questa concezione messianica si è formata in base a determinati presupposti interpretativi, cioè in base ad una certa concezione della storia, anche lo studio del messianismo, e soprattutto del nostro messianismo, deve innanzitutto chiarire a se stesso e per analogia quali sono i presupposti interpretativi della storia in base a cui riteniamo che la storia debba svolgersi in una certa maniera e debba camminare verso una sua soluzione che noi riteniamo messianica.



X. Evoluzione storica

Ecco perché questo corso dovrebbe assumere un carattere ermeneutico, non della Bibbia, ma di ciò che noi riteniamo fondato nella Bibbia. Esso dovrebbe ripercorrere le tappe di formazione di una concezione messianica, per verificare in ultima analisi se anche oggi vi sono i presupposti per intendere la storia in senso messianico e quindi anche per vedere quanto siano, o siano ancora, legittime le nostre speranze messianiche.

Il modo più immediato per operare una tale verifica può essere quello di esaminare come il messianismo viene assunto a giustificazione di un potere che viene esercitato in suo nome, manipolandolo secondo i propri fini. Appropriandosi di una concezione messianica così radicata nella cultura storica di un popolo e delle sue istituzioni, un qualsiasi potere, politico o religioso, può fare di essa uno strumento efficace per gestire la propria politica di autentica o falsa liberazione.
L'uso o l'abuso del messianismo dovrebbe risultare evidente, e a maggior ragione le mistificazioni che ne derivano quando ci si richiama alla Bibbia come giustificazione, prossima sul piano ideologico e remota su quello storico, del proprio potere. Da movimento di liberazione il messianismo rischia così di diventare una forma concreta di alienazione collettiva.




DIBATTITO


A differenza della relazione, le risposte che seguono non sono state riviste dal relatore. Le domande dei vari intervenuti per motivi tecnici non erano comprensibili per cui quelle del testo sono state succintamente rielaborate dalle risposte del relatore.


1. Non nego un certo sconcerto nel sentire che il messianismo cristiano sia una costruzione a posteriori e che comunque non sia originale; ma è stato proprio intenzionale costruire il messianismo cristiano? E allora cosa significa la frase Colui che mi ha mandato che spesso si trova nel NT?

Non è che nel NT non ci sia un messianismo o una concezione messianica. È una elaborazione che contribuisce a creare la concezione del messianismo storico. È formulata a suo modo ma non può essere considerata come una cosa a se stante dal resto dell'AT.
Dal punto di vista storico il NT ha un rilievo molto ridotto. Che poi sia stato assunto nella tradizione cristiana che è appunto il fondamento della nostra fede, è un altro discorso. Quindi noi dobbiamo assumere una prospettiva di ordine storico e vedere che proprio al tempo di Gesù le cosiddette attese non erano quelle che risultano oggi dai testi del NT, ma si sono costruite apposta in funzione cristologica. Qui la questione è anche dialettica.
Noi pensiamo naturalmente che il giudaismo aveva questo messianismo e che il NT avesse già formulato la sua concezione e viceversa. La questione è invece molto più ridimensionata. Cerco di esprimermi così per farmi capire: come la Palestina è un fazzoletto di terra che si rapporta a tutto il resto, cosi anche la concezione del messianesimo è un fazzoletto di teologia che si rapporta ad un resto che si è elaborato anche dopo.

Circa la seconda domanda: tutto questo è intenzionale?
Quando si opera un processo storico non possiamo ricondurre le intenzioni all'inizio del processo, noi dobbiamo constatare il suo esito. Che ci sia una coerenza questo si, che la formulazione del messianismo come fenomeno di cultura biblica sia un qualcosa che è coerente con la linea precedente di pensiero, questo si. Non è venuto fuori dal nulla.
Ma mi premeva dire che il messianismo a cui pensiamo noi normalmente non si ritrova nella Bibbia come tale, ma la Bibbia ha contribuito a formarlo.
È un fenomeno che appartiene a quella tradizione che ha posto la Bibbia come suo punto di partenza. Ecco perché il messianismo caratterizza sia il cristianesimo sia l'ebraismo ma in proporzione a come ciascuna delle due tradizioni considera la Bibbia come suo testo di riferimento. Certo tutte e due pensano la Bibbia come punto di riferimento però il testo sacro costituito dalla Bibbia per l'ebraismo non è inteso con lo stesso senso sacro che lo intende il cristianesimo.
Per venire al messianismo della nostra tradizione cristiana la concezione messianica è anche più rigida perché consideriamo la Bibbia come testo di riferimento esclusivo. Nella tradizione ebraica invece esiste accanto al testo della Bibbia tutta una tradizione orale e libera, e la concezione del messianismo è anche più libera. Il messianismo si può accettare o no e quando lo si accetta lo si fa anche in modo più concreto che non nella tradizione cristiana in un certo momento della storia.
Ma il messianismo dell'ebraismo è molto più vasto ed elastico di quello cristiano proprio perché la Bibbia ai suoi inizi è pensata in maniera diversa dalle due tradizioni. Dal punto di vista storico certo c'è stata una evoluzione e quanto sia intenzionale lo constatiamo di volta in volta.

Infine l'ultima domanda, la lettura che si fa nel NT:
Colui che mi ha mandato. Ma anche la Sapienza è stata mandata tant’è vero che proprio nel vangelo di Matteo, Gesù parla della Sapienza, che è mandata e gioca nelle strade, magari senza essere ricevuta.


2. È esistito ed esiste un messia nel giudaismo? Può spiegarci meglio il movimento del rabbinismo?

Per quanto riguarda la prima domanda rispondo: si e no. È vero che molti aspetti della propria autodefìnizione sia dell'ebraismo che del cristianesimo hanno un valore correlativo cioè sono create proprio per distinguersi l'uno dall'altro, ma, come dicono gli studiosi, di fatto ambedue le tradizioni hanno adottato le stesse categorie filosofiche religiose per cui ad un certo momento non si riusciva a vedere in che cosa si distinguevano, soprattutto per quanto riguarda la ortodossia e la eresia o la eterodossia.
Ambedue le tradizioni hanno adottato delle categorie neoplatoniche applicandole ad ognuna in maniera univoca per cui io sono ortodosso e tu sei eterodosso e siccome le applicavano alla stessa maniera erano tutte e due ortodosse e tutte e due eterodosse. Molto spesso quindi la polemica era artificiale, di principio. Poi di fatto si ritrovavano in una linea comune.

Per quanto riguarda il messia, dicevo appunto si e no, perché in fondo il cristianesimo era orientato verso una figura unica, quella di Gesù, diventato il Cristo, quindi aveva buon gioco a riportarsi a questa unica figura. L'ebraismo non aveva una figura analoga a cui richiamarsi, aveva semmai la figura della propria tradizione o dei padri in senso generico, tutt'al più la figura di Davide.
È per questo che mentre il messianismo cristiano si è orientato in senso cristologico quasi esclusivo, Gesù è diventato il messia ed in rapporto a lui si è polarizzato tutto il resto del messianismo, nell'ebraismo questo non è avvenuto o è avvenuto in altro modo. Ecco perché il messianismo di tipo ebraico è per certi aspetti legato a più figure particolari ma contingenti. Sono sorti molti falsi messia, non è esistito un vero messia.
Nella cultura ebraica però sono nate concezioni ideologico-religiose di tipo messianico ma senza messia come il marxismo. Un epigono del messianesimo ebraico è stato appunto il marxismo.

Circa la questione del rabbinismo, quello di cui si può parlare in questo contesto è da intendere come scuola o come movimento giudaico che in seno agli altri numerosi e complessi è diventato ufficiale e determinante. Questo tipo di rabbinismo deriva dal fariseismo, non quello di cui si parla nel NT che è deformato, ma il fariseismo come fenomeno ebraico illuminato come era appunto ai tempi di Gesù.
Con la distruzione di Gerusalemme si è sentita la necessità di definire un movimento giudaico non più legato alla città di Gerusalemme o al Tempio, ma che funzionasse egualmente, quindi la figura del maestro di antica tradizione che prima poteva essere lo scriba, il profeta, etc. è diventata quella del rabbino. Il rabbi è un maestro di sapienza non un profeta o un carismatico.
Come rabbinismo possiamo allora intendere il fenomeno nato dopo il 70 che si richiama però a tutto un movimento precedente. Nell'ambito di questo movimento possiamo collocare anche la figura di Gesù e dei suoi discepoli, il movimento gesuano che era di tipo rabbinico certo non quello dopo il 70 ma legato ad un maestro, ad un insegnamento della scrittura, della tradizione, delle Torah con interpretazione propria.


3. II messianismo è un fatto occidentale, il buddismo ad es. non lo contempla. Mi chiedo se il messianismo come lo conosce l'occidente e solo l'occidente cristiano non sia tributario della divinizzazione di un uomo. Come si pone il messianismo dell'Islam?

Dal punto di vista generale questo è vero perché proprio dall'ebraismo antico abbiamo ereditato una certa concezione della storia che ha alla base l'idea di uno sviluppo progressivo . È un fenomeno che nasce quindi con l'ebraismo antico con cui intendiamo tutto quell'ambiente che ha dato origine alla Bibbia, all'ebraismo, al cristianesimo, etc.
A questa matrice appartiene però anche l'Islam. Le altre religioni avranno altre concezioni, escatologiche oppure no, ma l'Islam appartiene all'ambito culturale dell'antico ebraismo. È l’Islam messianico oppure no? Non è messianico in quanto non ha divinizzato la figura del profeta Maometto, che è quello di allora, fondatore dello scritto ed è rimasto come tale. Però l'islamismo ha trasferito il messianismo nel momento escatologico. Non sottolinea più il movimento della storia che si porta verso un termine finale ma ha già quasi prefigurato e definito il termine finale.
Prima parlavamo di potere, guardiamo al papato della storia dell'occidente che per certi aspetti ha assunto valori messianici. L'Islam non avendo insistito sulla figura del personaggio ed avendo recepito di più il messianismo senza messia in qualche modo potenzia il momento finale del messianismo. È per questo, come dicono, che ha avuto tanto successo in quel momento, in quanto presentava gli stessi fondamenti religiosi dell'ebraismo ma senza le notevoli complicazioni del cristianesimo in mano ai bizantini.
L'islamismo si presentava in modo molto semplice ed è per questo che ha avuto molti aderenti, ma le pratiche fondamentali appartenevano all'ambito culturale dell'ebraismo. È quindi un messianismo annacquato ma non formale.


4. Mi chiedo se da tutto questo quadro culturale che ci ha illustrato può dipendere il cambio del significato della parola profeta. Mentre profeta prima era quello che parlava davanti al popolo, man mano fino ai giorni di oggi il significato è cambiato in quello che indovina il futuro.

Certo. Il profetismo biblico all'interno dell'antico Israele era un fenomeno di trasmissione, di interpretazione, di mediazione, mentre la nuova funzione del profetismo è nata nel tardo giudaismo o meglio in quel giudaismo che si colloca tra i due Testamenti. Allora si è avuta la concezione del profetismo come Cristo-profetico che va interpretato. Da qui è nata la figura del profeta che in qualche modo deve tornare.

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